ASINI IN EGITTO

Un altro mondo

 Di Sandro Useli

 

    Torno da un viaggio in Egitto. Ho visitato l’Alto (che poi è in basso verso sud) ed il basso Egitto (che poi è l’alto verso nord). Tutto dipende dal corso del sacro Nilo.

    Negli occhi ho ancora quello che resta di splendidi monumenti dell’archeologia dei vari periodi storici legati alle dinastie faraoniche.

    Uno di questi monumenti è rimasto immutato, resistendo alle razzie degli uomini ed all’inclemente erosione del Khamsin, il vento del deserto, alla nuova umidità del grande lago della diga alta di Assuan, che dissolve il calcare scolpito in sbalorditivi colossi di pietra.

Questi è l’asino.

    Si, perché in nessun altro paese al mondo la presenza dell’asino è così puntuale e quotidiana, da farne il primo ed indiscusso mezzo di trasporto. Un vero monumento all’animale domestico.

    Qui sì che hai la consapevolezza della impensabile capacità, forza, resistenza, tolleranza e disponibilità dell’asino. Doti che sono sfruttate all’inverosimile dalla gente del luogo.

    Difficile trovare un asinello al lavoro con meno di un quintale sulla groppa, o tre, quattro quintali sul carro, carri che da soli ne pesano almeno due di quintali. Si parla di asinelli denutriti di mole media o piccola (massimo 1,20 al garrese). Difficile anche vederli con l’andatura al passo, qualsiasi carico abbiano; il trotto veloce e costante è prerogativa di tutti gli asinelli egiziani.

    Ho notato che gli insegnano da puledri questa andatura, affiancandoli ad un asino esperto durante il tiro dei carretti.

    A parte le piaghe causate da finimenti improvvisati, gli zoccoli non curati “ferrati” con pezzi di copertone, il duro lavoro continuo per tutto il giorno, gli egiziani non maltrattano i propri asini per farli lavorare (bastonate), ma questo perché i somari non ne danno occasione: si muovono autonomamente ricordando la strada, si districano da soli tra una bolgia infernale di persone ed auto, arrivano a destinazione senza l’intervento di nessuno, mentre i passeggeri si disinteressano della guida. Questo gli evita le bastonate e l’uso maldestro del micidiale morso di ferro, costruito con materiale di recupero che, anche se inservibile, molti continuano ad usare.

    Nei momenti di pausa gli asini stanno dove vengono lasciati, senza assicurali a nessuna corda, immobili ed incuranti di qualsiasi cosa accada intorno, intenti a  recuperare preziose forze per la ripresa del lavoro e, quando capita, a rosicchiarsi avanzi di canna o di palma.

Viene fatto uso costante di stalloni (più forti e più prestanti per il lavoro), malgrado ciò non ho mai notato un comportamento differente dalle asine. Sarà il duro lavoro che ti leva la voglia!.

    L’asino egiziano è di struttura esile, spesso di manto chiaro, quasi bianco, dal pelo raso, la selezione naturale ne ha fatto un animale dalla forza e dalla resistenza straordinaria, in relazione alla mole.

    Coccodrilli, ippopotami, falchi, leoni, sciacalli, scarabei, scimmie, in Egitto non c’è animale che non sia sacro, ed abbia ricevuto il dono eterno della mummificazione. Anzi, no: l’asino è stato dimenticato dagli dei, e quasi mai rappresentato dagli uomini del deserto e delle verdi valli del Nilo. Eppure è stata la Nubia (che ora si trova sotto le acque del grande lago artificiale) a sentire il primo raglio sulla terra. Chissà, forse perché gli asini erano talmente tra gli uomini e con gli uomini da essere troppo “umani” per diventare dio, privilegio del solo Faraone.

    Anche oggi, nelle bancarelle colme di chincaglieria dozzinale per il turista, troviamo di tutto (scarabei, sfingi, cammellini) ma raramente un asinello di pezza o di legno. Eppure è impossibile volgere lo sguardo senza vederne uno in carne ed ossa.

    L’Egitto è un paese difficile per chi vuole visitarlo in autonomia (soprattutto dopo gli attentati ai turisti), non ti resta che affidarti ai pacchetti offerti dagli operatori turistici e seguire i loro circuiti. Per questo mi è rimasta la voglia di indagare, intervistare e studiare l’uso dell’asino in Egitto. Anche perché ho intuito che il nostro modo di allevare ed usare gli asini è eccessivo in senso opposto: troppe fobie, insicurezze, valutazioni sbagliate, manie protettive che portano inevitabilmente all’indebolimento dei nostri opulenti asinelli (è un po’ il destino degli esseri, umani e no, appartenenti a popoli ricchi ed “avanzati” tecnologicamente). C’è bisogno di più pragmatismo e senso della realtà anche nell’allevamento e riutilizzo dell’asino.

                                                                                                                    Agosto 2006